Perchè Virologia dei Media

Il titolo di questo blog forse non corrisponde a pieno ai suoi contenuti. E’ un omaggio alla mia prima passione intellettuale/scientifica. A quella sociologia del virus e virologia dei processi sociali illustrata nel primo capitolo introduttivo di Pestilenze.  Purtroppo negli anni è difficile ritrovare quel linguaggio e quella radicale ironia. Speriamo nelle microparticelle connettive…

Per ora ecco il testo del capitolo.

Sociologia del virus

“Anche il senso di questo libro si configura come un’antropologia del virus una antropologia virale che solo nel calarsi nel morbo o nell’acido della comunicazione, nel suo ambiguo ‘farsi’, auspica di spezzare il suo doppio vincolo. Una antropologia virale nelle vene dell’antropologia visuale” Massimo Canevacci[i]

Una ricerca sul virus, di un piccolo organismo che può provocare micro-patologie nel corpo, è difficilmente associabile a qualsiasi scienza sociale, soprattutto alla sociologia. In questo saggio si proverà a spiegare questo accostamento. Almeno giustificarlo. Nessuna sarà esaustiva come nessun fatto deve esserlo per forza. Certamente la recente scoperta di questo microscopico messaggero di informazione genetica e malattia scatena antichi fantasmi e più attuali teorizzazioni. La storia europea e quindi mondiale delle malattie infettive, le terribili pestilenze che attraversarono dolorosamente la civiltà. La post-moderna passione per i codici, la semiotica, la comunicazione qui rappresentata in forma estrema, esemplare, genetica. Il destino politico ed etnico intrecciato di scambi maligni e contaminazioni.
Il virus può diventare una metafora utile, sembra, alla ricerca sociale. Utile ad attraversare i campi della società contemporanea, a collegare politica, estetica, medicina, scienza, antropologia… Tutti contagiati da effetti virali, esplorabili tramite l’immagine del virione. Indispensabile nell’interpretazione dei maggiori eventi del finir di secolo, che, guarda caso, riassumono in sé diverse caratteristiche del germe oggetto di ricerca. Epidemie e reazioni a catena, dalla medicina all’elettronica. Uno strumento di studio.
Nello stesso tempo diventa indispensabile ‘tipo ideale’ per la ricerca socio-antropologica di fenomeni, messaggi, icone, ideologie che traversano la metropoli, la società, le reti di comunicazione. Modalità associabili al modello virale che la virologia permette di analizzare forse meglio delle metodologie attuali della sociologia. Una sorta di virologia sociale, che prende il virus come modello cercando di scoprire analogie e similitudini, scarti e differenze sin nel campo micrologico del sociale, dalla tecnologia alla cultura.
Allora.
Virale è anche un modello di scienza, un modello di parola, uno stile, oltre che un oggetto di ricerca. Anche una teoria sui virus non sarà una (semplice) «trasposizione dal campo biologico»[ii], ma un oggetto di ricerca che attraversa e confonde i campi. Parla della biologia e della sociologia indifferentemente, non perché mimi o faccia il verso alla postmodernità, ma perché ‘adegua il metodo all’oggetto’[iii]; facendo sociologia del postmoderno diventa anche postmoderna, facendo sociologia del virus diventa Sociologia Virale. Non c’è ricerca separata dall’oggetto perché non esiste separazione tra il libro e ‘il di fuori’[iv] , tra l’analista e l’analizzato. Se c’è distanza c’è perché c’è anche internità[v]. Esiste la sociologia del virus perché la sociologia si butta nel male, in ciò che non va e che muta il sistema; convinta che ciò che è vitale e quindi anche malevolo e cattivo nell’umanità, sia l’oggetto delle scienze sociali: l’eccesso, la variazione, la diversità.
A forza di analizzare i virus diventa essa stessa una sociologia virale: cioè una sociologia che si cala fluidamente nel Bene, nella normalità del sistema(to) cogliendone l’essenza e le fibre. «Uno sguardo al contempo epidemico e omeopatico, che affronta la ‘malattia’ assumendo la forma del virus che l’ha provocata»[vi]. Una sociologia che non ha paura di sporcarsi le mani, non ha paura di confondersi. «Scrivo per sostenere la visione che proviene da un corpo, un corpo sempre complesso, contraddittorio, strutturante e strutturato»[vii]. Una sociologia che scopre, mostra i paradossi e nel farlo diventa fatalmente paradossale. Non li pacifica, non ordina un virus. Non lo farebbe mai. Non struttura, non divide né seleziona. Non quantifica in tipologie e categorie. Anzi! Mette in luce i doppi vincoli, il parossismo, le ironie.
«A dire il vero, non rimane nulla su cui fondarsi. Non ci resta più che la violenza teorica. La speculazione a morte, il cui unico metodo e la radicalizzazione di tutte le ipotesi»[viii]. Un punto di vista delirante.
Un’epistemologia virale, ‘anarchica’: per il virus anything goes[ix]. Ma non parteggia per un semplice relativismo, «un modo di essere in nessun luogo mentre si afferma di essere dappertutto in modo uguale. L’‘uguaglianza’ del situarsi è una negazione di responsabilità e di investigazione critica. Il relativismo è il doppio speculare dell’istanza totalizzante nelle ideologie dell’oggettività; ambedue negano un investimento nell’ubicazione, nella corporeità nella prospettiva parziale; ambedue impediscono di vedere bene»[x]. L’oggettività crede e fa credere nella neutralità dell’esistente, nell’ingenuità del dato in sé, del vero per sé. Il neutro dell’incontaminato, del non modificato dai germi del reale, dall’azione mutante dei virus.
Il punto di vista virale è, invece, parziale e (s)radicato nel corpo. Nell’esplorare, nella particolare angolazione, nell’estremo, nel relativismo radicale, nel totalizzante perché singolare, trova la sua ragion d’essere. Una teoria locale, regionale, relativa[xi]. Un discorso contraddittorio perché non univoco e complessivo. ‘Tutto e il contrario di tutto’. Sempre da una parte, fortemente di parte, violento e virulento. Non oggettivo perché maligno, perché virtuale. Non vede neutralità nelle cose e non se ne distacca: le attacca. Ripudia ogni neutralità dello sguardo come l’equidistanza, la superiorità separata e separante. È un punto di vista tra punti di vista tutti diversi e per questo non giusti o legittimi ma sbagliati e confutabili. Rigetta l’unicità del punto di vista, la giusta prospettiva. Se parla impersonalmente, è per non mostrare un’identità che non rappresenta, a cui non crede. Non è soggettiva, al massimo può richiamare la nozione di ‘singolarità’: una soggettività parziale, transitoria e mobile. Temporanea, esterna e superficiale: mai oggettiva.

 “Razionalità universale etnosofie
linguaggio comune eteroglossia
sistema mondiale conoscenze locali
teoria egemone resoconti capillari”[xii]

Come un virus accetta e provoca contaminazioni culturali, visioni etniche, laboratori sincretici (etnosofie), parla lingue ibride, meticce, bastarde (eteroglossie), sfida il corpo nei suoi anfratti nei cunicoli, si infila negli organi e nelle vene (conoscenze locali e resoconti capillari), non fa corpo non fa sistema né struttura ma rizoma e distruzione.
Non fa citazioni, non si riferisce a leggi o libri già scritti per coglierne l’autorità, la legittimità, non ne cerca. Ma attraversa ‘l’ipertesto della conoscenza’[xiii], saccheggiando, facendo download[xiv], plagia. Usa il fuori di sé per diventarlo. Attraversa i linguaggi altri, li utilizza spudoratamente senza moralità. Approfitta di ogni cellula per (ri)prodursi, usa testi che ama o odia indifferentemente, in funzione dell’utilità. Come i virioni, utilizza il materiale organico e genetico del sociale come del corpo della disciplina per costruire e costruirsi. È «‘transdisciplinare’ [pratica] l’attraversamento dei differenti campi discorsivi e dei diversi ambiti del discorso intellettuale. La teoria [..] contemporanea può essere solo ‘in transito’, in movimento in/tra, in attraversamento, creando connessioni dove le cose erano prima dis-connesse oppure apparivano prive di relazione; dove non sembrava esserci nulla da vedere. In transito, in movimento, in successive dis-locazioni: questo è il grano di isteria senza il quale non c’è alcuna teorizzazione”[xv]. Crea ardite e inusitate connessioni, contaminazioni tra eventi lontani e diversi, immaginazione[xvi].
Non disdegna niente, non si limita allo scientifico, né al sociologico, né al letterario. Anzi crea collegamenti tra diversi linguaggi, il virus è mezzo di collegamento tra eteroglossie, tra eterogeneità[xvii]. Collega modi di dire e seri testi scientifici, film e slogan pubblicitari… L’unico fine è il proseguimento del discorso, la sopravvivenza. Come un virus, crea concatenamenti, arditi accostamenti, metafore e metonimie. Collega termini e fatti lontani tra loro, va oltre le parole e le intenzioni, traduce[xviii].
Non è uno sguardo né pacificato né pacificante. Non cerca sintesi, né soluzioni finali, non dimostra o verifica tesi ma ipotizza, astrae, nel vero senso della parola teorizza. Crea solo codice genetico, un DNA della speculazione, dell’analisi sociale, della collocazione nel sociale, della scomparsa del sociale. Crea nuove specie socio-antropologiche, neologismi, giochi di parole, ossimori. Parole in libertà che impazziscono nel codice. Le contraddizioni rimangono insolute, la dialettica non funziona, è contagiata, sporca. Nessuna conciliazione, né superamenti. Solo contrasto, stridente, tra realtà e tesi, tra presenti e futuri, tra alternative, alterità, teoriche. Conflitti tra opinioni, dati di fatto, poteri, razionalità e desideri. Non ricerca solo il funzionamento normale, ma la variazione, il conflitto, il mutamento a venire.
Viaggia, modificandosi, nel contemporaneo, nell’acido come nel positivo, senza il timore di essere apocalittico o integrato. Essendo entrambi con contraddizione e variazione non risolta. La scrittura è in questo modo paradossale e non univoca. Il virus varia mutando forma e idea, contraddicendo si contraddice. Non cammina necessariamente in maniera lineare, ma per salti, tenta di fare rizoma. Come un rizoma non oppone, non crea dualismi, almeno non ci crede. Non crea coerenza dove coerenza non c’è, ordine dove… Contrappone tesi diverse, frammenti logici contraddittori. Moltiplica le posizioni e i punti di vista. Parla per “e..e..e..”[xix], ha eliminato dal linguaggio il virus del “COSI’/OPPURE”[xx], l’esclusione delle posizioni, le alternative interne, il pensiero duale. Non fa ‘critica né-né’, ma teorie ‘e..e’[xxi]. Non è una critica che giudica dall’alto, ma una ricerca che le applica entrambe, le mette alla prova. Non si ferma a queste ma cerca altre strade, sfumature, linee di fuga. Sperimenta strategie miste, afferma solo ipotesi, e conclusioni da dimostrare, non chiude, né «fa il punto»[xxii], ma esplora.

Ogni parte potrebbe non continuare con la successiva. Non è un “testo che gioca a fare l’ipertesto”[xxiii], ma un testo che potrebbe esserlo. Che nel pensiero e nelle intenzioni già lo è. Potete leggere seguendo i rimandi interni di cui il testo è disseminato disinteressandosi della linearità alfabetica, dell’ordine dei capitoli, dei titoli. I paragrafi sono i nodi della rete, ogni parola, nota, rimando, un link. L’indice è un percorso, una linea che unisce le singole pagine, i nodi. È un percorso possibile, uno dei tanti. Se fosse un ipertesto sarebbe multimediale, addirittura ipermediale. Quando si descrive un’immagine, la si usa, diventa componente attiva del testo.
Una scrittura modificata dall’avvento dell’informatica, dalla presenza post‑alfabetica, non più lineare, del computer: ad un «periodare connesso e ‘paratattico’ si sostituisce un pensiero ‘a piccoli pezzi’, ipotattico, e in cui i nessi diventano logici a posteriori, e non logici grammaticalmente e sintatticamente»[xxiv]. Come Francis Bacon che «opponeva allo scrivere secondo metodi, cioè al presentare prodotti finiti, lo scrivere ad aforismi, ovvero seguendo osservazioni isolate: [..] il consumatore passivo preferisce i primi, ma coloro ai quali interessa perseguire la conoscenza e cercare le cause ricorreranno, diceva, agli aforismi proprio perché sono incompleti e richiedono una profonda partecipazione»[xxv], non ricerca chiusure, leggi, certezze, un’‘autorità del libro’[xxvi]. Ma piuttosto una scrittura non omogenea, lineare, completa; ‘aforismi’ non come ‘pillole di saggezza’, ma come idee incomplete che il lettore può collegare a piacimento.

Scrivete in n, n-1, scrivete slogan: fate rizoma non radice, non piantate mai! Non seminate, iniettate! Non siate né uno né molteplice, siate delle molteplicità…Non suscitate un Generale in Voi! Non delle idee giuste ma giusto un idea (Godard) Abbiate idee corte…Un rizoma non inizia né finisce è sempre nel mezzo tra le cose, inter-essere, intermezzo.[xxvii]

La sociologia del virus ha a che fare con il tatto. Con l’insieme dei sensi, con l’integrazione, delle discipline, delle esperienze. Ma senza tatto, senza prudenza o timidezze. Dice cosa c’è da dire senza scrupoli. Il virus è insensato è si propaga in ogni corpo, non badando a limiti disciplinari, gerarchici, epistemologici. Non si cura di chi danneggia con la sua azione. Agisce, incurante dei pericoli.

Così la sociologia del virus è anche la sociologia del flusso. L’analisi del sociale come propagazione di pensieri e azioni che si sposta di persona a persona, seguendo le modalità che GustaveLe Bon analizza, studiando con apprensione, quella folla che irrompeva con forza, nell’Ottocento[xxviii]. La ‘legge dell’imitazione’, del contagio interpsichico, interpersonale, che caratterizza ogni fenomeno di massa. Quella caratteristica di flusso che il capitalismo industriale e mercantile rende dominante. Quella fluidità, velocità, molteplicità di rapporti che l’esperienza della folla rende empiricamente concreta. Un fluire indiscriminato di energie, di materie prime, di merci, di capitali, di mano d’opera, d’informazione. Quindi la sociologia del virus è lo sperimentare una epistemologia che cerca di «spiegare il sociale partendo dal flusso, non dall’opposizione»[xxix]. Studiare la società come la massa: un ‘magma’ che ha meccanismi di funzionamento, flussi, abitudini, linee di fuga e cristallizzazioni ma non coscienza, unità e coerenza. Abbandonare la logica della struttura, del possesso, del Potere, di strategie unitarie e di un nemico individuabile e unitario per l’analisi delle relazioni complesse, caotiche, il contrario della ricerca spasmodica della causa, dell’origine, della linearità (storica). Causa-effetto, struttura-sovrastruttura, tesi-antitesi… Una compresenza complessa di flussi. ‘Studiare le formazioni sociali ed il loro divenire’[xxx], cercando di comprendere gli avvenimenti come instabili configurazioni di una realtà complessa, in continuo movimento, senza capo né coda… Una sociologia del caos.

Ma non è possibile credere ad un accostamento così ardito tra sociologia e biologia, tra il frivolo romanzo di fantascienza e un saggio di una scienza sociale. La sociologia virale è solo una burla. Una fantasia, un’apologia di un metodo che non può e non deve essere seriamente applicato. Potrebbe assomigliare ad un ‘gioco serio’, uno dei tanti termini di moda (!?), il gioco di un ricercatore, che non può essere serio se fatto in un saggio, gioco dell’estremizzazione delle congetture, delle opinioni, delle teorizzazioni. Un’esercitazione di stile, per altro non sublime. Allora la sociologia del virus non esiste nei termini sopra esposti, ma esiste, in forma moderata come metodologia, come traccia che questo testo seguirà, e come suggerimento al lettore per l’interpretazione. Un’elencazione di auspici, di speranze che spetta al lettore confrontare con la loro attuazione…
Il virus è costretto dal suo codice a ripetersi all’infinito, cosa non auspicabile in uno scienziato. Ma radicalità e contaminazione non sono altre caratteristiche dei virus?


[i] M. Canevacci, Antropologia della comunicazione visuale, Genova, Costa &Nolan, 1995, p. 214.
[ii] Baudrillard, La trasparenza del Male, cit. anche in Il virus-segno: dalla Metafora alla Metonimia.
[iii] M. Canevacci, La città polifonica, Roma, Seam, 1993.
[iv] G. Deleuze e F. Guattari Rizoma, Parma, Pratiche, 1977: “lo scrivere non sarà mai fatto abbastanza in nome di un di fuori. Il di fuori non ha immagine, né significazione, né soggetto”, p. 59.
[v] Riguardo l’adeguamento del metodo all’oggetto di ricerca e sulla dialettica tra internità e distanza, tra partecipazione e osservazione: cfr. Canevacci, La città polifonica, cit.
[vi] G. Canova, David Cronenberg, Pavia, Il Castoro, 1993, p. 25. Chiaramente l’autore si riferiva al cinema di Cronenberg. Perdonerete l’immodesto paragone.
[vii] D. Haraway, Manifesto cyborg, Milano, Feltrinelli, 1995, p. 120.
[viii] J. Baudrillard, Lo scambio simbolico e la morte, Milano, Feltrinelli, 1990, p. 15.
[ix] Paul K Feyerabend fa derivare il principio ‘tutto può andar bene’ dalla sua critica al metodo scientifico: ‘l’unico principio che rimane al razionalista’ (op. cit.).
[x] Haraway, op. cit., p. 115.
[xi] Giles Deleuze in “Gli intellettuali e il potere. Conversazione tra Michel Foucault e Giles Deleuze”, in M. Foucault, Microfisica del Potere, Torino, Einaudi, 1977, p. 106: “da una parte una teoria è sempre locale, relativa ad un piccolo settore, e può avere la sua applicazione in un altro campo, più o meno lontano. Il rapporto di applicazione non è mai di somiglianza. D’altra parte, non appena la teoria penetra nel proprio campo, incontra degli ostacoli, dei muri, dei punti di scontro, che rendono necessario un altro discorso che le dia il cambio (è quest’altro tipo che fa passare eventualmente ad un settore diverso)”.
[xii] Haraway, op. cit., p. 119, si invita a diffidare del possibile dualismo, dalla posizione dicotomica del testo. Prendendo le caratteristiche di destra e sinistra come semplici forzature o aiuti alla comprensione, non come un’alternativa rigida.
[xiii] Cfr. P. Lévy L’intelligenza collettiva, Milano, Feltrinelli, 1996.
[xiv] Nel gergo informatico significa prendere (‘scaricare’) testi od altro da un computer collegato in rete o da una BBS.
[xv] R. Braidotti Madri, mostri e macchine, Roma, Il Manifesto libri, 1996, p. 47.
[xvi] “Possiamo definire immaginazione questa capacità di mettere in relazione ciò che non lo era”: J.F. Lyotard La condizione.., p. 95. Vedi Il Modello Virale.
[xvii] Vedi Contagio.
[xviii] Vedi Il Modello Virale e Contaminazioni.
[xix] Cfr. Deleuze, Guattari, Rizoma, cit.
[xx] W.S. Burroughs, La rivoluzione elettronica, Milano, SugarCo, 1980, p. 182-3 : “Acquista la sua forza dal concetto aristotelico di così/oppure. Fare tutto, fare niente, avere tutto, avere niente, farlo tutto, non farne niente, stare su, stare giù, stare dentro, stare fuori, stare presente, stare assente [..] COSÌ/OPPURE è una formula virale. È sempre tu OPPURE il virus” (maiuscolo nel testo).
[xxi] Cfr. R. Barthes, Miti d’oggi, Torino, Einaudi, 1974: “il neneismo. Chiamo così quella figura mitologica che consiste nello stabilire due contrari e nel soppesarli l’uno con l’altro in modo da rifiutarli ambedue. (Non voglio questoquello)”, p. 200, “È questo un esempio di meccanica della duplice esclusione”, p. 140.
[xxii] Cfr. G. Deleuze, F. Guattari Rizoma, cit.
[xxiii] Canevacci, Antropologia della comunicazione visuale, cit., p. 86.
[xxiv] O. Calabrese, L’età neobarocca, Bari, Laterza, 1987, citando Umberto Eco, p. 151.
[xxv] M. McLuhan, Understanding media, Milano, Garzanti, 1977, p. 37.
[xxvi] Cfr. A. Abruzzese, Analfabeti di tutto il mondo uniamoci, Genova, Costa &Nolan, 1996.
[xxvii] G. Deleuze, F. Guattari, Millepiani, Roma, Istituto della enciclopedia italiana, 1987. p. 35 (sottolineatura nostra).
[xxviii] Cfr. G. Le Bon, Psicologia delle Folle, Milano, Longanesi, 1980.
[xxix] F. Berardi, Mutazione  e cyberpunk, Genova, Costa &Nolan, 1994, p. 79, riferendosi a Deleuze, Guattari, Millepiani, cit. Cfr. Lévy, L’intelligenza collettiva, p. 28: “Il principio organizzativo del nuovo spazio è il flusso”.
[xxx] “come manifestazioni di un contagio interpsichico”, Berardi, Mutazione  e cyberpunk, cit., p. 77.
Fonte immagine: http://photo.gallery.youngester.com/2011/04/virus-in-microscopic-arts.html