Galli della Loggia e i giovani (comunicatori) d’oggi

Il punto di vista conservatore sul mondo assomiglia sempre allo stereotipo dei lamenti del nonno. Alcuni tratti della modernità lo disturbano, soprattutto quelli dei giovani. Soprattutto se vanno in Parlamento o osano studiare Scienze della comunicazione.
Il punto di vista conservatore sul mondo assomiglia sempre allo stereotipo dei lamenti del nonno, al discorso morale di una persona anziana. Il Corriere della Sera è il prototipo della stampa conservatrice, i suoi editoriali ne sono il modello. Ernesto Galli della Loggia il suo campione.

Nel suo editoriale di oggi, La politica che manca tra i Cinque Stelle, l’obbiettivo della sua analisi critica è il movimento fondato da Beppe Grillo, e fin qui nulla di strano. Il torto originario dei Parlamentari 5 Stelle è quello di esser giovani ed inesperti. E di avere quel modo di parlare dei giovani. Ed è qui che compare prepotente lo stereotipo del vecchio nonno brontolone. Al professore conservatore, si sa, i giovani disturbano. Come molti aspetti dei tempi moderni, questi non sano comportarsi, non parlano come si faceva un tempo, pretendono troppo e sono smodati.

Un personale politico in maggioranza giovane che in teoria dovrebbe corrispondere alla novità presunta positiva della loro azione e del loro programma. In pratica però le cose non sembrano stare proprio così, dal momento che almeno nella forma, nel modo di esprimersi, quei nuovi parlamentari tendono irresistibilmente a imitare, addirittura esasperandoli, alcuni aspetti tipici del politico italiano tradizionale. Primo fra tutti la sostanziale vaghezza dell’eloquio. Sicché ciò che specialmente colpisce dei deputati e dei senatori 5 Stelle finisce per essere la loro marcata impudenza, […] rispondono a vanvera, svicolano, spesso replicano dando più o meno esplicitamente della canaglia a chi gli ha fatto la domanda. Sempre peraltro con l’aria di dare una risposta perfettamente appropriata e con una perentorietà dai toni ultimativi.

Nulla di originale nella critica al Movimento Cinque Stelle, né riprovevole o sbagliata in sé. Questi giovani parlamentari sono espressione di inesperienza. Non si sono (ancora) adeguati alle regole e alle necessarie mediazioni del discorso politico. Non sono (ancora) diventati dei politici; in loro il nostro riscontra:

scarsa dimestichezza, in generale, con la dimensione del «discorso». Voglio dire con la capacità di esporre spiegazioni verosimili, di articolare nessi plausibili, di modellare argomentazioni almeno in parte fondate, di usare una retorica che non sia quella elementarissima del «bianco e nero». Una scarsa dimestichezza che evidentemente rimanda per un verso alla diffusa inesperienza politico-sociale della maggior parte degli esponenti dei 5Stelle. Ben pochi dei quali hanno mai militato in un partito, sono stati iscritti a un sindacato o a un’organizzazione qualunque, e dunque non hanno mai avuto a che fare con dibattiti e discussioni, con la necessità di replicare, mediare, giustificare, propria di questo tipo di circostanze. Per l’appunto i parlamentari grillini sono i nuovi e inespertissimi arrivati nella sfera pubblica italiana.

Di nuovo nulla di particolarmente nuovo, o non già ascoltato. Presto però questo giudizio politico si estende ad un’intera parte della società, al modo di essere delle nuove generazioni. Al discorso dei giovani, al loro modo di esprimersi e prepararsi. E, certo, alla scuola che “non è più quella di una volta”. Agli insegnanti ovviamente troppo deboli e, naturalmente, ad un particolare corso di laurea:

Con la giovane età che perlopiù li contraddistingue essi appaiono, infatti, anche il frutto compiuto dello sfasciato sistema d’istruzione del loro (e ahimè nostro) Paese. Nel loro modo di parlare e di ragionare, nel loro lessico, è facile indovinare curriculum scolastici rabberciati, insegnanti troppo indulgenti, lauree triennali in scienze della comunicazione, studi svogliati, poche letture, promozioni strappate con i denti.

Ecco allora che lo stereotipo del vecchio brontolone si completa con il più classico degli obiettivi polemici dell’intellettuale conservatore, il vecchio cliché dello studente svogliato che studia comunicazione. Un luogo comune così scontato che viene usato anche dove provoca un’evidente contraddizione logica: i giovani d’oggi dove altro dovrebbero imparare il linguaggi della comunicazione politica o prendere “dimestichezza con la dimensione del «discorso»” se non nel corso di laurea dedicato proprio a questo?