“Siamo in attesa” come rispondere al FertilityDay

Che la campagna “FertilityDay” realizzata dal Ministero della Salute non fosse riuscita era abbastanza evidente. Altrettanto evidente è che, nell’era dei social media e dell’attivismo in rete, sarebbe presto giunta una reazione. Questa volta davvero provocatoria e probabilmente di successo.

La prima reazione, immediata e popolare, era avvenuta tramite i social media il giorno di lancio dell’iniziativa grazie alla diffusione delle sue maldestre cartoline. La campagna social aveva evidentemente sbagliato tono e obiettivi. Cito solo due commenti. Quello di Anna Maria Testa:

il tema trattato in maniera così maldestra ha sì importanti riflessi sociali, ma riguarda in primo luogo una dimensione sensibile, turbolenta e indiscutibilmente intima delle persone: è quella che Zauberei definisce una zona psicologicamente incandescente, in cui si intrecciano sessualità, amore, futuro, identità, libertà, le relazioni tra i sessi, il desiderio, la fiducia…
Sarebbe un motivo in più per procedere con delicatezza ed esattezza.

E quello dell’amico Nino Santomartino:

il problema alla base non è solo la comunicazione, ma il senso stesso dell’iniziativa. I cittadini si sono sentiti offesi non (solo) dalla creatività della campagna, ma soprattutto dal messaggio politico dell’iniziativa.

Infatti l’errore nella costruzione dei messaggi, realizzata da un’agenzia, trae origine proprio dall’intenzione e dagli obiettivi decisi dal committente. Il ministero appunto. La vena colpevolizzante e retrò era rintracciabile direttamente nel Piano Nazionale per la Fertilità riletto con efficacia da Matteo Pascoletti su Valigia Blu o dal Blog Al di là del buco. Difatti credo che ci ritroviamo di fronte ad un problema ricorrente nelle “campagne di utilità sociale”.

Vi ho dedicato tanto spazio nel libro che ho dedicato al tema (Comunicazione sociale 2.0), dando per scontato che il calo della fertilità in Italia (come nei paesi ricchi) sia un problema sociale rilevante questa campagna come molte altre è:

  • Limitata all’aspetto culturale-comunicativo e quindi destinate all’inefficacia: 150.000 euro per una attività di comunicazione, anche se ben fatta, non riuscirebbero mai a cambiare atteggiamenti e comportamenti radicati in un fenomeno storico e multifattoriale. Sarebbe necessaria una politica di ampio respiro che coinvolga più anni e più ministeri.
  • Indirizzata ad altri scopi: questo sostanziale spreco di risorse è dovuto certo ad imperizia. Ma c’è un sospetto malevolo. Il ministro di turno sa bene che quella somma e quella campagna non può risolvere il problema. Perché decide di farla comunque? Si tratta, a mio avviso, di una “politica simbolica” ovvero una politica che sembra che si stia affrontando un problema, un messaggio rivolto spesso non alla cittadinanza o ai portatori di interesse, ma spesso ad un pezzo di elettorato.
  • Rivolta a comportamenti individuali: la conseguenza è che queste campagne non sono indirizzate alle cause sociali che sicuramente causano o concorrono a causare il problema. Il “colpevole” è sempre l’individuo che deve cambiare qualcosa in se stesso o nel suo comportamento!

Quest’ultima conseguenza è evidente nella stragrande maggioranza delle risposte offese e indignate pubblicate il giorno di lancio dell’iniziativa. Quasi tutte concentrate sui “vincoli strutturali” ad una procreazione responsabile:

Oppure al paternalismo e sciovinismo implicito negli obiettivi stessi della campagna evidenziato dallo spassoso spot riparativo inventato dal Terzo segreto di Satira. Ma una risposta organizzata non si fatta attendere. In questi giorni è stata lanciata una manifestazione coincidente con il giorno dedicato alla fertilità, il 22 settembre (uno dei rischi delle campagne teaser). Il suo testo di lancio è chiarissimo:

La campagna della Ministra Lorenzin ci ha convinte!
Mobilitiamoci il 22 Settembre per dirle che sì, siamo in attesa.
Siamo in attesa di asili nido, welfare, lavoro, diritti, salute.
Siamo in attesa di un Paese in cui avere o non avere un figlio possa essere una scelta.

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