I posti a tavola

Una cosa è certa. C’è un elemento comune tra chi si occupa di comunicazione, sociologia, progettazione, facilitazione, partecipazione ed organizzazionee di matrimoni. È l’attenzione verso dettagli assolutamente marginali per il resto degli umani. Osservano quisquilie lontane dalla sostanza delle cose. Per questo sono antipatici ai più. Il loro mestiere è spesso sbeffeggiato come inutile, superfluo, futile.

È comprensibile.

Appena entrano in una stanza queste persone osservano la sistemazione del tavolo nella stanza e dei posti a sedere. Appena si trovano davanti ad un problema si domandano quale sia l’organizzazione che può meglio affrontarla: le persone, il percorso, i tempi, il budget. Invece di badare al contenuto si soffermano sulla forma, invece del mobilio osservano le pareti, invece dei viandanti pensano alla strada. La maggior parte delle persone, le “persone normali”, ragionano in modo diverso.

E ciò è un bene.

La partecipazione alla prova della comunicazione

Forse un po’ meno quando si deve far entrare in relazione delle persone, coinvolgere un gruppo, affrontare un problema, risolvere un conflitto coniugale. Allora è interessante osservare il diverso modo in cui si può affrontare l’organizzazione di un processo partecipativo. Ne ho avuta recente, quanto breve, esperienza in occasione del primo incontro per l’organizzazione di un Tavolo di partecipazione di un progetto europeo. Ma non solo. Sono situazioni ricorrenti in molte situazioni simili, in molti gruppi che intendono far nascere un momento di partecipazione. Le ho vissute innumerevoli volte.

Per questo, per una volta, ho deciso di appuntarle. Si possono leggere, pertanto, di seguito le osservazioni di una persona profondamente affetta dal succitato difetto nello sguardo. Un difetto che fa osservare comportamenti altrimenti quasi inosservabili per quanto sembrino al solito superflui.

La convenzionalità: la forma convegno

Le persone concrete, efficaci, possono faticare a comprendere la necessità di superare le abitudini, cambiar posto. Le forme, dicevamo, vengono il più delle volte date per scontate. Sono secondarie rispetto alla forma. Il risultato è di usare sempre le stesse. Si può smettere di innovare. La cerimonia, il convegno, l’assemblea sono rituali tradizionali di coinvolgimento e partecipazione, ma non gli unici. Non esiste un solo tipo di luogo per incontrarsi, la sala convegni, uno stesso modo per presentare argomenti, stabilirne i tempi o accomodarsi. Esistono altri modi di apparecchiare la tavola, di preparare una festa, come esistono diversi modi di giungere ad un dialogo partecipato. Quanto spesso è difficile percorrere strade diverse.

L’automatismo: la forma riunione

La convenzionalità nelle scelte di coinvolgimento nasce spesso dall’approccio usato, sin dai primi passi. Se il medium è il messaggio, il risultato standard può nascere già dal primo incontro, dalla prima riunione (appunto) operativa. Il convegno nasce dal tavolo di lavoro. Le riunioni organizzative, per gli stessi motivi, sono spesso costruite in modi convenzionali. L’urgenza di produrre risultati, il ritardo cronico che colpisce la maggior parte delle nostre attività produce l’accantonamento del forme, di procedure di inclusione, dall’obbligo della convivialità alla previsione dei tempi. Ogni riunione pare poter funzionare come un incontro casuale, un giro in un ascensore affollato, un giro di tavolo. Non sempre è così.

L’immediato: la forma di protezione

Il perenne “stato di emergenza”, rintracciabile in un comitato, associazione, istituzione e rintracciabile persino nei pluriennali progetti europei: ci obbliga all’immediato. L’istante presente sostituisce ogni possibile previsione, programmazione. Se l’urgenza detta i ritmi, l’emergenza rimanda i problemi, la decisione rinvia la messa a fuoco degli obiettivi. Spostando in avanti ogni decisione grave, ogni riflessione complessa, ogni situazione pericolosa. La mancata programmazione rischia di renderci impreparati, non costruisce saperi utili nell’evenienza, non ci predispone agli incidenti, ci rende insicuri. E quindi ci può rendere codardi. Ogni fattore di conflitto, ogni presenza scomoda, ogni voce di contrasto potrebbe produrre dispute, perdite di tempo. Guai. Allora per funzionare meglio bisogna funzionare meno, ridurre i rischi, evitare troppe presenza, troppe diversità, troppe voci. Portandoci spesso proprio lì dove non volevamo arrivare, dove i conflitti diventano ormai intrattabili, dove la partecipazione diventa assenza di dialogo, di coinvolgimento.

Ma occorre ricordarlo. Non diamo troppo credito a questi appunti. Si tratta di questioni marginali proposte da persone con strane fissazioni. Tutto sommato i matrimoni come le cene di famiglia, e da parecchi millenni, si realizzano anche senza una sofisticata organizzazione e con i posti a tavola messi un po’ a casaccio. In fondo il posto per una sedia in più si trova sempre.

O no?

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