Ma si può sconfiggere una diversità?

Su ogni argomento l’informazione quotidiana, ripetitiva, organizzata, industriale deve trovare cliché, stereotipi, tic. Trovare formule con una certa rapidità. Formulare parole già conosciute, riconoscibili, comprensibili. Ricollocare il male ignoto in schemi già noti, restituire l’avvenimento sconosciuto al panorama di quelli già passati.

Ridondanza ormai tipica nel caso di cronache criminali o minoranze da (ri)stigmatizzare. Ormai avviene anche per le “buone notizie”, quelle senza un mistero da scoprire o un nemico da scovare. Quei pochi momenti in cui si dissotterra un tema inascoltato, si sposta il riflettore su spazi inesplorati.

Allora il tran tran quotidiano interviene per ricollocare l’estraneità, ricondurla nel recinto del consueto bollettino. Persino in buona fede. Persino nella nell’introduzione ad un servizio televisivo tutto sommato completo e corretto. Grazie a questa magia il World Autism Awarness Day, tradotto in italiano Giornata della consapevolezza dell’autismo, diventa nelle parole della anchorwomen “la giornata per sconfiggere l’autismo”. Come fosse l’Aids. Come fosse la “fame nel mondo”.

Vedi il servizio o l’intera edizione del tg (minuto 20′ 23”).

Ma l’autismo è una disabilità. Non è (ancora) una malattia – naturalmente “misteriosa” – da sconfiggere, un morbo da scovare. E’ uno stato da comprendere, una condizione da riconoscere e raccontare. Una diversità che non deve essere, come le altre, esibita o di cui ci si deve vergognare.Resistendo alla tentazione di nascondersi, alla tentazione di sperare (solo) in una soluzione miracolosa, quel pride, quella consapevolezza, afferma questo messaggio importante. Se non viene ridotto alla solita speranza nella scienza, al solito “scontro con il nemico invisibile”, alla solita notizia. Ad una Giornata come le altre.

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